Una settimana esatta. Questo è il lasso di tempo che ci separa da quella domenica, e cioè il 3 giugno, in cui abbiamo avuto modo di assistere allo spettacolo di Igor Grcko, Il protocollo, messo in scena al Teatro “Casa delle Culture” di Trastevere. L’impressione è rimasta in noi piuttosto viva, per cui abbiamo pensato sia il caso di spendere ancora una volta due parole su una concezione del teatro mai banale, capace di mettere in discussione i luoghi comuni insiti sia nell’ambiente della cultura che nella vita di tutti i giorni, tesa inoltre a valorizzare le azioni sul palco di attori chiamati a un lavoro serio, continuo, fisicamente impegnativo. Siamo alle prese con un nuovo spettacolo di quel CFA (Centro Formazione Attori) che vede agire l’autore di origini croate nelle vesti di coach, ovvero un delicato incarico rivolto alla preparazione e al perfezionamento di giovani attori. E vedendo all’opera le quattro interpreti de Il protocollo si ha subito la conferma che il gruppo ha lavorato bene: toniche e perfettamente inserite in un meccanismo scenico dal ritmo assai elevato, le brave Alessandra Coronica, Francesca Renzi, Isabel Zanni e Nunzia Mita non danno mai l’impressione di subire tale partitura, dimostrando al contrario di saperne cogliere le potenzialità espressive sia come percorso personale che come affresco collettivo di una condizione comune.
Sin dall’inizio dello spettacolo le attrici sono costantemente in scena: sedute una a fianco dell’altra, con la faccia rivolta verso il pubblico e pronte a schierare pochi e significativi oggetti sul lungo tavolo posto di fronte a loro, le quattro reagiscono con straordinario tempismo a ogni stimolo di una “esistenza femminile tipo”, se così vogliamo chiamarla, raccontata con humour sulfureo dalla nascita fino alla vecchiaia e alla morte. Passando quindi attraverso lo studio, attraverso gli innamoramenti, attraverso il lavoro, ma soprattutto attraverso le varie forme di inquadramento e di controllo che la società capitalista, anche attraverso i media, si propone di introdurre nelle nostre vite, più specificamente in quelle delle donne.
Alessandra, Francesca, Isabel e Rita, accompagnano con una gestualità frenetica, con una mimica facciale fresca e al contempo consapevole, i molteplici stimoli che arrivano loro; già, perché sono celebri motivi musicali, sigle di telefilm, jingle pubblicitari ed altri campionamenti sparati a palla in teatro a costruire quel tappeto sonoro, utilizzato simultaneamente dalle interpreti per scandire i tempi della vita umana. Il gioco fa sì che i troppi condizionamenti e la tendenza alla massificazione cui siamo sottoposti escano fuori, senza rinunciare mai ad ironia e leggerezza. Il ritmo serrato, la concatenazione dei vari frammenti vengono a formare un “blob” vorticoso ed efficacissimo, ma cronologicamente orientato; un po’ come se fosse il “montaggio delle attrazioni” teorizzato da Ejzenštejn, riproposto qui secondo le necessità del caso. Ed è così che lo sfaccettato ritratto femminile concepito, su base corale, da Igor Grcko, riesce a divertire (in svariati momenti si ride e si applaude a scena aperta) e insieme a condurre il pubblico, con naturalezza, verso determinate riflessioni.